In Totantango la deformazione, l’ironia, il procedimento alchemico sono presenti già nel titolo, basato su un gioco di parole (“Totar” e “Toten”) che farebbe supporre una connotazione autobiografica e macabra al tem- po stesso.
La composizione si basa su due arrangiamenti (facenti parte di un vinile del 1968) di due celeberrimi tanghi, arrangiamenti che nulla hanno di genuinamente popolare e che anzi “usano” le forme appartenenti a questo repertorio come materiale da sfruttare a fini commerciali, contraffacendole secondo i dettami di un’estetica decisamente kitsch.
Il senso di “Totantango” è proprio qui: la tesi è che reiterando e portando alle estreme conseguenze tali “atti di violenza” sul repertorio (non solo popolare) si giunga fatalmente alla sua morte e dissoluzione.
A questo assunto corrispondono puntualmente, nel brano, una serie di procedimenti di progressiva “denatu- razione” del materiale musicale che divengono gradualmente sempre più automatici, meccanici, quasi a sim- boleggiare la crescente “disumanizzazione” del prodotto. All’inizio sembrano solo piccole, gratuite, diver- tenti deformazioni, ma a poco a poco ci si rende conto che proprio dallo sviluppo e dalla naturale prolifera- zione di tali “nei” nasce e si sviluppa il “cancro” che causerà la morte dell’organismo infetto. Le stesse fun- zioni tonali, già “aggredite” nella prima parte del lavoro, spariscono progressivamente nella seconda, dove gli accordi vengono sempre più interpretati come semplici aggregati di intervalli da manipolare secondo re- gole ferree ed implacabili.
La proliferazione delle “cellule impazzite” conduce ben presto a un climax parossistico, cui fa seguito un’immane esplosione e quindi un lento, inesorabile dissolvimento; nell’ultima parte del brano il materiale dei due tanghi viene come triturato, centrifugato e disperso fino a giungere alla completa estinzione, al silen- zio, al nulla.
Le citazioni presenti nel brano passano quasi inosservate (da Chopin a Rossini, da Rachmaninov al “liscio” romagnolo, fino alla scrittura donatoniana del finale) e nella loro eterogeneità sembrano alludere a una situa- zione nella quale i prodotti artistici, sempre più violentati da un sistema che segue prevalentemente leggi di mercato, finiscono col perdere totalmente la loro identità culturale.
Mario Totaro